Forrest è stato chiuso

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Si parla molto, in queste ore, della chiusura – ieri è andata in onda l’ultima puntata stagionale, di Forrest, il programma di Rai Radio1 condotto da Luca Bottura con Marianna Aprile.

Così Bottura scrive sui social: “Per me #Forrest è stato il programma della maturità. Nato per caso e per volontà di una direttrice non targabile politicamente, Simona Sala, ha cominciato il suo sferragliare allegro insieme a La Laura. Distaccarsi dalla quale non fu facile. Un’amica, un talento, una donna colta e appassionata, che infatti oggi fa faville su Radio Capital insieme a Fabio Canino. L’arrivo di Marianna Aprile, il famoso microfono che cade in testa a entrambi, del quale ancora oggi ringrazio il fato favorevole, e il senso di Simona per la Rai, mi hanno obbligato a confrontarmi con un passo diverso, più simile al mio, e con la ricerca costante di trasformare il divertimento e idee/convinzioni molto simili, talvolta da mononeurone, in un racconto che non fosse autoreferenziale e rispettasse anche chi aveva sensibilità diverse. Ci siamo riusciti. Cazzo, se ci siamo riusciti. Dei troll che parlano di comunismo, stalinismo, eccetera, formati in questo dal linguaggio che emerge da certi giornali e certi politici, abbiamo riso spesso, in onda. Ma sono appunto sciocchezze. Abbiamo rispettato il pluralismo finché era materialmente possibile, cioè finché chi veniva volentieri quando era minoranza (Crosetto, Tajani, Donzelli, Fedriga) non ha smesso di presentarsi, al pari di tutti gli altri esponenti di maggioranza, in modo che la favola del programma rosso avesse un minimo di concretezza. Per condannare all’irrilevanza una voce neanche dissonante: plurale. Ma abbiamo cercato comunque di rappresentare le testate anche più distanti dai tre/quattro valori in cui crediamo (tolleranza, uguaglianza, dignità soprattutto per chi ha meno forza) cercando quantomeno di sceglierli tra le penne più laiche e dialoganti. Che dialogare si può, si deve. Abbiamo cercato leggerezza, distribuito battute a destra e soprattutto a sinistra, talvolta non trovandola, abbiamo costruito una squadra di complici straordinaria, a partire dal ricamatore @paolomaggioni , per mantenere il payoff della trasmissione: la disintossicazione dai talk show. Forrest non è stato un programma conflittuale. Non ci sono stati dibattiti infuocati. Sembravano simpatici – così scrivevano, talvolta criticandoci – anche quelli che a molti non piacciono. Credo che a @GuidoCrosettofischieranno le orecchie. Abbiamo fatto domande, ascoltato risposte. Nel caso, facendo anche la seconda domanda. Cose banali. Abbiamo provato a fare servizio pubblico: questo. Anche con la satira, anche col montautore di dio: Enrico Bettella. Nessuno ha comunicato il mancato rinnovo, e non c’è problema. Ogni calcio in culo che ho ricevuto mi ha rassodato le chiappe, vediamo se funziona anche con quelli fantasmatici. Però, conoscendo la litania, prego solo i nostri 25 ascoltatori di non credere a chi dirà che erano meno di 25, che Radio1 è tutta da rifondare, anzi: che la radio va rifondata perché perdeva ascolti.

Intanto, il nuovo Ad Roberto Sergio ha proposto poco tempo fa che la Rai uscisse dal rilevamento dei dati, perché sono inaffidabili. Poi, perché ci sono emittenti saprofite che si chiamano come appuntamenti fissi Rai, che ne hanno drenato parte dei dati (gli ascolti si basano ancora sul metodo delle telefonate). Infine, perché i nostri quarti d’ora hanno sempre navigato garruli, come tutta la rete, grazie al lavoro appassionato di Andrea Vianello che con budget risicatissimi ha compiuto miracoli. Mantenendo in onda anche figure lontanissime da lui. Perché è la Rai, cristo. E la Rai non può essere un monocolore. Personalmente, alla fine della scorsa stagione avevo ben due offerte profumate che mi avrebbero permesso di saltare dal Titan prima dell’impatto. Ho preferito l’implosione perché per me, e so che è così anche per Marianna, la Rai è la Rai. Un po’ come lo Stato: sgarrupato, talvolta insostenibile, ma decisivo. E migliorabile solo attraverso atti concreti. Dacché l’unica libertà politica che ci è data è ormai quella di essere buonisti. Cioè di provare a essere almeno decenti. La mia, la nostra, è stata una Resistenza gentile con l’orgoglio di portare i galloni del servizio pubblico. Quando ero bambino, giravo le emittenti private per fare il telefonista, per assaporare un po’ di quel mondo (e, incidentalmente, anche molto fumo di sigarette simpatiche). Volevo un microfono davanti, senza nemmeno poter sognare che fosse pubblico. Per questo, oggi, uscendo da Asiago, sorridevo. Perché questa azienda è l’Italia, ed è anche fatta da tutti i tecnici e collaboratori che si sbattono per tenerla dritta mentre sopra le loro teste si alternano figure apicali a raffica. E io ero lì. Come ha detto Marianna, queste 600 puntate a casa nostra, cioè di tutti, non ce le toglierà mai nessuno. Forrest è morto, viva Forrest”.

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About Stefano Beccacece 4502 Articles
Stefano Beccacece nasce nel 1985 a Torino. Sino a pochi anni fa poeta - ha pubblicato due raccolte tra il 2006 ed il 2010 - ora fa prevalentemente il blogger. Dal 2012 scrive di calcio e mass media. Su Radiomusik potete leggerlo prevalentemente nella sezione "Radio News".