Blur – The Magic Whip: recensione

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Chinatown, sceglietene una qualunque. Ore 4 e mezza della mattina, la gente si sveglia, esce per le strade, già inizia il carico-scarico merci, si sentono i primi afrori di roba da mangiare di dubbia provenienza, le uniche luci accese sono quelle dei lampioni e di alcune insegne di ristoranti e negozi di elettronica, rigorosamente multicolor. Ve la siete immaginata la scena? Ecco, questa è un po’ l’atmosfera che The Magic Whip, l’ultimo disco dei Blur, tenta di ricreare. Ci fossero stati dei kanji al posto degli ideogrammi, probabilmente sarebbe stata la colonna sonora perfetta per un libro di Murakami.

La band capitanata da un Damon Albarn impegnatissimo negli ultimi tempi a cazzeggiare con i suoi Gorillaz (ce ne fossero di cazzeggi così) ci ha messo un botto di tempo a tornare ma alla fine il risultato, 12 tracce di puro brit-pop, è più che soddisfacente e se è piaciuto a me che non mi posso definire un estimatore del genere credo di poter affermare con una certa sicumera che i fan lo adoreranno proprio.

In The Magic Whip c’è tutto quello che ci saremmo potuto aspettare dai Blur: malinconia ovattata (apprezzabile in Thought I was a spaceman, che alla fine suona come un pezzo degli MGMT, oppure nella stupenda e sofferta My Terracotta Heart), un po’ di metaforica psichedelia (Ice Cream Man) ma anche un graditissimo ritorno a quel british rock delle origini che li ha resi il gruppo iconico che sono oggi (vedasi Lonesome street, che vanta un video epico) e alle sonorità anni ’80 (There are too many of us). A ben pensarci, questo disco starebbe da dio anche in un film di Quentin Tarantino (Pyongyang) oppure potrebbe rappresentare un nuovo concept album di riferimento per tutte le persone amareggiate da questo mondo distopico ed incasinato (I broadcast). D’altra parte, non sono forse le luci a neon stesse della cover un simbolo del degrado industrial-commerciale?

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The Magic Whip ha in definitiva un sapore orientale, vagemente sporco ed eccessivamente salato come la salsa di soia, ma dopo tutto piacevole, e vi lascia un po’ quella sensazione che avete quando tornate a casa da un giappo-cino lurido con l’odore di fritto addosso e la consapevolezza che, dopo tutto, quello che avete mangiato v’è piaciuto un casino.

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Tracklist

1. “Lonesome Street”
2. “New World Towers”
3. “Go Out”
4. “Ice Cream Man”
5. “Thought I Was a Spaceman”
6. “I Broadcast”
7. “My Terracotta Heart”
8. “There are Too Many of Us”
9. “Ghost Ship”
10. “Pyongyang”
11. “Ong Ong”
12. “Mirror Ball”

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