La redazione di RadioMusik.it ha intervistato Gigio D’Ambrosio, in onda su RTL con Laura Ghislandi nella “Suite” di RTL 102.5, nonché voce Mediaset. Ecco cosa ci ha raccontato.
Ciao Gigio. Cominciamo dalla musica: qual è il primo disco che hai comprato?
“Genesis, “‘Selling England by the pound'”.
Riusciresti a scegliere i 3 dischi della tua vita?
“Dovrei fare una Top 30, una Top 300. Tre è un numero riduttivo. Ce ne sono parecchi, di tutti i tempi e ben distribuiti in 45 anni. Mi riferisco a quando ho avuto la cognizione di cosa vuol dire comprare un disco. I primi 45 giri me li regalava mio padre quando avevo 5 anni”.
Passiamo alla radio: quando hai cominciato immaginavi che questo sarebbe diventato il tuo lavoro?
“Più che immaginarlo lo speravo, lo volevo. Tutto è nato per passione, ma non riuscivo ad immaginare un altro lavoro, e ho fatto di tutto perché questo lo diventasse”.
Lo speaker deve essere sempre pronto a fronteggiare eventuali imprevisti. Quale era il principale inconveniente nella rudimentale radio degli anni Settanta?
“In realtà – tolti i primi mesi in cui si rischiava perché eravamo ancora radio pirata e non privata – dal punto di vista tecnico grandi inconvenienti non ne ricordo. Sono successe tante cose divertenti a microfoni spenti, fortunatamente non in onda. Ogni tanto qualcuno dimenticava il microfono aperto e raccontava cose che forse era meglio non far sapere. Ma questa, è una cosa che succede ancora oggi”.
Come sei diventato voce della versione italiana della American Top 40 di Billboard?
“Tramite delle cassette che mi spedivano dagli Stati Uniti, avevo sentito la versione originale condotta da Casey Kasem. Decisi di comprarla per trasmetterla su 101, così contattammo lo studio che la produceva. Dopo un paio d’anni loro decisero di realizzare delle versioni in lingua originale, parallelamente a quella internazionale di Casey Kasem. Mi chiesero di fare un provino, che piacque sia a Casey Kasem che alla ABC. Così, sono diventato voce della versione italiana sul format originale americano”.
Cosa puoi dire di aver imparato quando sei andato a ‘studiare’ la realtà radiofonica americana?
“E’ stata una cosa fondamentale per la crescita e l’esperienza. Sono stato per la prima volta in America nel 1981, e prima le radio americane – nostra fonte d’ispirazione – era impossibile ascoltarle, non essendoci lo streaming. Decisi di fare una vacanza e ascoltai le radio in lungo e in largo. Una volta tornato, ho parlato coi “ragazzi”, Oldani, Albertino, Braccialarghe. L’anno successivo siamo andati tutti in America, perché ciò che avevo vissuto non si poteva raccontare. Una volta tornati, abbiamo cambiato drasticamente il modo di andare in onda e, la programmazione. A quell’epoca, in America le radio trasmettevano già 3 canzoni in fila senza interventi dei conduttori,. Improvvisamente abbiamo cominciato anche noi a mettere 3 canzoni in fila, e questo ha suscitato stupore, soprattutto nell’ascoltatore, che si chiedeva se fossimo stanchi di condurre, di parlare. E’ una cosa che via via, tutte le radio hanno adottato. Difficilmente senti radio che parlano dopo ogni canzone. A 101 siamo stati per anni una radio ‘american oriented’: poche parole, dette bene con belle voci e jingle particolari e ben realizzati”.
Passiamo ai giorni nostri: quasi tutte le radio stanno diventando “visual”: perché tutti si adattano al modello della vostra radiovisione?
“Le indagini certificano il fatto che sempre più ascoltatori ci seguono attraverso la TV. Circa il 20% della fruizione deriva dalla televisione, ed è comunque un dato in crescita. E’ cresciuto soprattutto nel periodo del lockdown,, quando sono venuti meno – per ovvi motivi – gli ascolti dalle autoradio. Sempre più, in casa, la gente segue la radio dalla televisione. Del resto, sta sparendo dalle case la radio nella sua accezione storica. Puoi ascoltarla in mille modi, e la televisione sta diventando importante. Devo dire che è stata una delle scelte più azzeccate del nostro editore”.
E se ti dico che che la visione toglie qualcosa ad un mezzo nato per essere ascoltato, cosa rispondi?
“Ti dico che da questo punto di vista sono d’accordo con te, perché la radio ha la sua magia nel non vedere, ma l’ascoltare una musica, oppure una voce che – a seconda di come viene usata – crea delle suggestioni estremamente personali. Quando ascolti una voce e non sai chi c’è dietro, immagini qualunque cosa tu voglia. Il video è sicuramente più efficace e scontato, ma meno romantico e suggestivo”.
Nell’era del Covid molte radio hanno dovuto adattarsi tramite smart working e modifica dei palinsesti: cosa ha permesso ad RTL di non variare troppo la propria routine? “RTL ha un’organizzazione molto efficace. Abbiamo studi molto grandi che ci permettono di trasmettere distanziati, con sicurezze, controlli e tamponi. Così abbiamo potuto garantire continuità come se non fosse successo nulla. La radio – in particolare RTL – è stata di grande compagnia. E durante la primavera abbiamo mantenuto un costante contatto con la gente chiusa in casa. La radio è tornata ad avere una funzione di compagnia in modo intenso, come non accadeva da anni. La nostra forza è essere in diretta 24 ore al giorno per 365 giorni; una cosa che non fanno più in molti. Siamo inoltre una fonte d’informazione pronta ad aggiornare la gente nel giro di 30 secondi con una rapidità che la TV non ha, mentre il web è veloce ma dispersivo”.
Temi in qualche modo di essere identificato con la pandemia dopo i numerosi passaggi di messaggi istituzionali sulle reti Mediaset?
“Usi il verbo temere con un’accezione negativa, come a dire ‘hai rotto i cog***ni? (ride, ndr). Quando ho registrato lo spot ‘Resta a casa’, non immaginavo l’avrebbero mandato in onda con una tale frequenza. So che sul web ci sono prese in giro anche simpatiche. Però io sono una voce Mediaset, sono contento di esserlo e faccio dai palinsesti, agli auguri di Natale, alle istruzioni per votare, a questi annunci di servizio che non sempre sono piacevoli per la circostanza in cui vanno fatti. Ho capito, in questa occasione, che avrei sfondato le orecchie – e non solo quelle – di chi mi stava sentendo”.
Ogni lunedì sera tu e Laura Ghislandi ospitate artisti nella Suite Prime Time Live: si tratta di un’idea nata per riprodurre in qualche modo l’atmosfera dei concerti?
“La Suite Live la facevamo già alcuni anni fa, in maniera diversa. Era una performance live con la chiacchierata con l’artista dopo ogni canzone. L’intervista era meno tecnica e più introspettiva. Con gli artisti che sono venuti abbiamo parlato di tutto. Quando abbiamo proposto all’editore di rifarla, a lui è venuto in mente di abbinarla alla situazione dell’Italia e del mondo, cioè la totale assenza di concerti. Abbiamo snellito il contenuto dell’intervista, che si sente ovunque, per concentrarci sull’esibizione live. La situazione è strana, perché senza pubblico sembra di stare in uno studio d’incisione. Ma escono tutti molto soddisfatti”.
E che ci dici dell’interazione virtuale col pubblico?
“La cosa più bella per un fan è il momento in cui può parlare con l’artista. Lo svantaggio dato dalla situazione di chiusura in cui ci troviamo è mitigato dal fatto di poter interagire tramite il web e le varie piattaforme. Il regalo è quello di poter parlare col tuo idolo“.
Radio e giovani: secondo te ci sono abbastanza nuove leve per permettere alla radio di rinnovarsi?
“Forse ce ne sono abbastanza, ma è necessario che abbiano un’opportunità intelligente. Per esempio, Federico Pecchia e Davide Damiani (citati da noi durante il colloquio, ndr) hanno avuto una crescita che è stata ‘aiutata’ dal fatto che inizialmente hanno lavorato con gente un po’ più esperta. Credo che il segreto sia non mandare allo sbaraglio i giovani in quanto tali, perché rischiano di bruciarsi. Credo che all’inizio- specie in una radio come RTL – il giovane vada preso per mano e guidato da chi ha più esperienza. a mo’ di tutor. Poi, c’è chi ha più talento e decolla da solo. Pecchia e Damiani sono cresciuti in poco tempo. Ne ho visti alcuni che, anche dopo belle opportunità, sono arrivati in un certo modo e lì sono rimasti. C’è poi questa polemica sugli influencer. Il problema non è lo spazio dato agli influencer, ma il fatto che avere milioni di followers non significa che tu sia capace di fare radio e avere anche milioni di ascoltatori. Può essere un buon conduttore un influencer, come un panettiere o un avvocato. Sarebbe molto facile se bastasse prendere gente con 2-3 milioni di followers e ottenere altrettanti ascoltatori. L’apertura ai giovani è essenziale, perché chi ha iniziato fra gli anni Settanta e Ottanta oggi ha sessant’anni. Manca la generazione fra i 30 ed i 45 anni. C’è stato un vuoto generazionale, quindi bisogna fare un po’ in fretta affinché gli under 30 possano maturare un’esperienza tale da portarli a restare in onda trenta quarant’anni come noi”.
Cosa pensi dell’esito di X Factor? Pensi che Daniela Collu possa prendere ufficialmente il posto di Alessandro Cattelan dopo i live condotti nell’edizione appena conclusa?
“Quest’anno era difficile ipotizzare chi avrebbe potuto vincere a differenza degli anni precedenti. Casadilego è straordinaria soprattutto in relazione all’età. A 17 anni canta come Dido, ha una voce spaventosa. Bisogna vedere se saprà confermarsi nel mercato musicale, ma credo ci riuscirà. Daniela è una delle migliori conduttrici della sua generazione. Insieme a Laura Ghislandi è una delle poche capaci di fare radio. Daniela è anche brava in TV. E’ andata bene nella sostituzione di Cattelan, favorita anche dal fatto di conoscere l’ambiente. Non so se ne prenderà il posto l’anno prossimo, ma sarebbe una bella idea e lei ne sarebbe molto felice”.
Stefano Beccacece (On Twitter @Cecegol)