Care radio, siamo ancora ascoltatori, o automi pronti alla chiamata del sondaggio?

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Partiamo da alcuni presupposti: queste righe sono “rischiose” in quanto ci si vuole rivolgere agli addetti ai lavori senza avere tutte le loro conoscenze. Ma credo  che innanzitutto la civiltà vada ripristinata  e che – soprattutto – il mantenimento dei posti di lavoro dell’Azienda radio non sia un problema degli ascoltatori.

In questi giorni il bombardamento in materia di “sondaggio radiofonico” è sempre più martellante. Lo fanno tutti? Va beh, dai. Il rispetto è un optional. Il punto è che “se al mattino parli dei risultati del sondaggio radiofonico, al pomeriggio parli delle ‘possibili telefonate’ del sondaggio radiofonico; se al mattino parli delle possibili telefonate del sondaggio radiofonico, al pomeriggio parli dei risultati del sondaggio radiofonico. Come finisce questa scena di “Così è la vita”, immagino lo sappiate.

Ci sono fior di professionisti come Claudio Astorri che parlano della radio come di un servizio. Bene: l’indagine è ripartita da pochi giorni, ed io mi chiedo: chi è al servizio di chi? Ed anche: ma siamo sicuri che sia pienamente etico invitare le persone a rispondere con gioia a numeri sconosciuti nell’epoca del telemarketing? L’incipit è spesso: “In questi giorni si sta svolgendo l’indagine….”. Dove “questi giorni”, considerando che i semestri da indagare sono due,  alla fine coprono gran parte dell’anno. In pratica “in questi giorni” è quasi come l’offerta dei materassi valida solo per oggi da trent’anni.

E non si tratta di una “call to action”. Non dobbiamo mettere il like, non dobbiamo votare per farvi vincere le Cuffie d’Oro. Qui si tratta di una frantumazione testicolare ripetitiva basata sul “metti che” ((qui i numeri). Ma possiamo noi essere tartassati da un “metti che” che vale come ciò che il cibo “non contiene” ed è intelligente come fare l’elenco delle auto che non si possiedono?

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In questi giorni avete raggiunto – e siamo appena all’inizio – vette di bassezza incredibili. Una settimana fa, durante il gioco di una fascia, si è sentito (premetto che non farò nomi): “Senti, tu rispondi ai numeri sconosciuti?“. Se c’è uno spazio in cui l’ascoltatore deve stare al centro – divenendo interlocutore – è quello del gioco. Qui invece mancava solo “senti coso”, o direttamente l’hostess di “Pappa e Ciccia” a gridare: “rispondi al sondaggio, stronzone!”.

Ci sono svariati modi di propinare la suppostina: parto con un tizio del quale sono grande estimatore. Dato che il suo programma è anche televisivo, attacca il pippotto durante ogni puntata: “Anche-se-state-guardando-la-televisione-ricordatevi-che-questo-è-un-programma-radiofonico-quindi-se-vi-dovesse-capitare-di-ricevere-una-telefonata-per-partecipare-ad-un-sondaggio-sulle-radio-voi-dite-che-dalle-alle-ascoltate-Radio-Tal-dei-Tali-ma-non-nominate-il-programma-solo-la-radio. Fastidioso da leggere così, vero? Pensate ascoltarlo tutti i giorni senza il cambio di una virgola (e non è una citazione). Eppure lo so che se foste costretti ad ascoltarvi tramite una punizione simil-Arancia Meccanica, finireste per dare di matto.

In questi giorni ho sentito parlare anche di “rivelazioni dell’ascolto radiofonico (sì, ecco il terzo segreto di FMatima) e  richieste tipo: “Dite che ascoltate il drive time”. Ah, quindi dobbiamo pure imparare i vostri termini tecnici? C’è  anche chi simula la telefonata: siete patetici come Aldo Baglio con Marina Massironi nel film sopracitato.

Si salva qualcuno? Sì, in parte Andro Merkù, che se non altro ci prova in modo simpatico all’interno di “Bonjour Bonjour” senza mendicare.

 

Mendicare. Di questo stiamo parlando. Eppure, il modo in cui viene perpetuata  questa molesta – e ansiogena per chi ascolta – poracciata, contrasta con la sicumera dei vostri promo. Siete la colonna sonora della nostra esistenza, se cambiassimo stazione ci ritroveremmo più de là che de qua, eppure insistete con “ti prego, rispondi telefono”.

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I messaggi riguardanti il “sondaggio radiofonico”  costituiscono una intromissione nella quotidianità dell’ascoltatore. E’ bello che entriate nelle nostre case, o meglio nelle auto, attraverso il mezzo. Ma non è detto che dobbiate andare a ficcanasare nel frigorifero o mettervi a mangiare popcorn una volta chiusa la portiera. Che io sappia, il destinatario del messaggio non dovrebbe essere coinvolto nei vostri problemi, dato che ne ha già di propri e si rivolge a voi solitamente per distrarsi. Del resto, se invertissimo la questione e permettessimo ad ogni ascoltatore di chiamare per farsi pubblicità e mantenere il proprio posto di lavoro, il vostro clock andrebbe in vacca. Giusto? Dai, l’ipocrisia del “Facciamo squadra, così rimaniamo insieme”, quando la realtà è “Facciamo squadra, che pure io devo magnà”, è irricevibile.

Rispetto a tale “marchetta”, il discorso della pubblicità è diverso. Siamo consapevoli che il Vostro lavoro – come tutti – deve generare degli stipendi ed ha dei costi, che per altro sono anche aumentati in modo vertiginoso con la Pandemia. Come viene ben spiegato negli spot de “La radio rende”, c’è un patto implicito tra chi fa la radio e chi l’ascolta. Io godo del servizio che tu mi offri e conseguentemente accetto i cluster pubblicitari, le citazioni e i redazionali telefonici in modo che tu possa continuare il più serenamente possibile a garantirlo. Del resto, le interruzioni pubblicitarie sono segnalate da suoni specifici. Dell’indagine si parla invece “a tradimento”.

Il fatto che – per rendervi accattivanti agli occhi degli inserzionisti – dobbiate sfornare dati basati su chiamate verso telefoni a disco, non è un “nostro” problema. Siete social, visual, crossmediali. Siete così avanti che talvolta arriva il futuro a chiedervi delle dritte, ma nel 2023 dovete ancora affidarvi a messaggi  – parafrasando un noto spot televisivo – del tipo “presidia la cornetta, il sondaggio ti aspetta”.

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Mi chiedo: questa è la fiducia nel vostro prodotto? Se avessi un’attività, al cliente direi con espressione soddisfatta “A presto!”, e non “Ti prego, torna appena puoi, perché altrimenti chiudo”. E’ così nei fatti, ma guai a farlo vedere.

E poi, di cosa vi preoccupate? A giudicare dai vostri comunicati, un modo per risultare vincitori lo trovate e troverete sempre. Se non sarete primi negli ascolti, lo sarete sui social. Se non sarete primi sui social, lo sarete per numero di cuoricini ricevuti su WhatsApp, e se non sarete primi per cuoricini su WhatsApp, lo sarete per chili di pasticcini ricevuti dagli ascoltatori che tanto vi amano.

Ai tempi della mitica Discoradio – quella di Caravaggio, e c’era Audiradio – il sondaggio era collocato alla fine del cluster. Voi direte che magari durante la pubblicità c’è poca attenzione. A parte che quel “Io ascolto Discoradio sempre! sempre! sempre!” divenne un tormentone. Ma in ogni caso, torniamo al punto di partenza: le vostre indagini, non sono un  problema di noi fruitori. Citando (male!) “Private Parts”, che per molti di voi è una sorta di feticcio: “Non portarmi in radio i tuoi problemi, io non sono uno psichiatra”. Potreste cortesemente riportare l’affannosa corsa al numerino nelle segrete stanze, là dove deve stare?

Stefano Beccacece (On Twitter @Cecegol)

 

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Stefano Beccacece nasce nel 1985 a Torino. Sino a pochi anni fa poeta - ha pubblicato due raccolte tra il 2006 ed il 2010 - ora fa prevalentemente il blogger. Dal 2012 scrive di calcio e mass media. Su Radiomusik potete leggerlo prevalentemente nella sezione "Radio News".