Lady Gaga – Artpop: la recensione

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Andy Warhol, massimo esponente della pop art, rappresentava nelle sue opere un mondo in serie, quasi smaterializzato nella sua tangibile concretezza, un luogo dove l’arte diventava oggetto di consumo indiscriminato per le masse. Perché questo pippone intellettuale, direte voi. Ebbene è presto detto: nel suo ultimo disco, intitolato “inversamente” Artpop, Lady Gaga sembra aver fatto suoi questi principi, sfornando un disco che, nella sua insita prevedibilità, incarna alla perfezione l’ideale dell’artista che vende la sua anima al diavolo e, dietro la scusa della sperimentazione artistica, se ne esce con un prodotto che piacerà, eccome, a chi è incapace di vedere la triste catena di montaggio che vi sta dietro.

Gran parte delle tracce del disco potrebbero appartenere benissimo ad altri cantanti “X”: c’è l”esperimento hip hop di Jewels n Drugs, c’è l’R&B primi anni duemila di Do What You Want (feat. con R.Kelly), c’è il clap clap gigione e un po’ rock di Manicure già sentito in Rihanna e Avril Lavigne; la vera anima di Artpop è però quella dance, opera in gran parte dei geniacci Zedd e Dj White Shadow (molto più bravi come remixer che come produttori): i momenti migliori dell’album in questo senso sono l’eclettico brano d’apertura Aura (già, ci piacerebbe proprio sapere chi si nasconde davvero dietro tutta quella sovrastruttura!), il tocco anni ottanta di Venus oppure ancora i piacevoli ritornelli di Sexx Dreams e G.U.Y. . Per il resto, banalità a secchiate: il beat pompante di Swine, che prende ispirazione a piene mani da un successo qualunque degli Swedish House Mafia, il ridicolo occhiolino al suo amato mondo gay (imbarazzante Donatella, inutile Fashion), o il brano “alternativo”(ovviamente, sempre dance), dedica alla marijuana, Mary Jane Holland.

L’unico pezzo che forse davvero si salva da questo calderone di idee confuse è Dope, la sola vera ballata del disco (esclusa la sciapa Gipsy, che comunque esplode in un beat danzerececcio), uno dei lenti più intensi e originali della sua carriera, costruito su un giro di pianoforte in ottima sintonia con un synth dal sapore Daft Punk.

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Ultima nota dolente sono i testi, molto azzardati, che esprimono a lettere maiuscole la costante necessità di Lady Gaga di manifestare il suo ingombrante ego: tale bisogno di traduce nell’elettronica del singolo di lancio Applause (pop culture was in art now art and pop culture in me), ma anche nella visionaria Artpop (I could show all the reasons My Artpop could be anything).

Artpop, in definitiva, è un disco di e per la massa, che farà impazzire i little monsters e storcere il naso ai puristi: Lady Gaga ha tentato ancora una volta (dopo il tentativo, riuscito molto meglio, di Born This Way) a imporre un’immagine di sé rivoluzionaria e messianica, fallendo tristemente con un disco che è tutto tranne che eccezionale. Chi lo sa, magari se questo progetto avesse preso ispirazione concettuale dal barocco più frivolo invece che dall’arte moderna, tutto avrebbe avuto molto più senso.

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Tracklist

Aura

Venus

G.U.Y.

Sexx Dreams

Jewels ‘n Drugs feat. T.I., Too Short & Twista

Manicure

Do What You Want feat. R. Kelly

Artpop

Swine

Donatella

Mary Jane Holland

Dope

Gipsy

Applause

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